Bishorn e dintorni

esperimento ciclo-scialpinistico in Svizzera

di Alberto Pedrotti, albertopedrotti@gmail.com

  • 01. Domodossola (272) - Sempione (2005) - Briga - Sierre (541) - Zinal (1678)
    [130 km, 3200 m]
  • 02. Zinal - Cabane de Tracuit - Bishorn (4159) - Zinal - Sierre - Briga - Grengiols
    [81 km, 3100 m, 211 Km]
  • 03. Grengiols - Gletsch - Passo Grimsel (2165) - Oberwald - Furka Basistunnel - Realp - Hospental - Passo del San Gottardo (2108) - Hospental - Andermatt - Altdorf - Axenstrasse
    [128 km, 2000 m, 339 Km]
  • 04. Axenstrasse - Gersau (435) - Obermatt (1300) - Rigi Scheidegg (1656) - Obermatt - Gersau - Arth - Zug - Zurigo
    [121 km, 1500 m, 460 Km]
  • 05. Zurigo - Rapperswil (412) - Wattwil - Wildhaus - Gamplüt (1300) - Schafberg (2378) - Gamplüt
    [93 km, 2200 m, 553 Km]
  • 06. Gamplüt - Wildhaus - Buchs (450) - Coira - Lenzerheide (1549) - Tiefencastel (851) - Passo Julier (2284) - Pontresina - Celerina (1730) - Passo Bernina (2323)
    [166 km, 3300 m, 719 Km]
  • 07. Diavolezza (2973) - Piz Palú (3906) - Diavolezza -- Passo Bernina - La Punt - Passo Albula (2316)
    [37 km, 2200 m, 756 Km]
  • 08. Albula - Igl Compass (3016) - Albula - Bergün - Alvaneu (957) - Davos - Passo Flüela (2383) - Susch (1426) - Zernez - Pass dal Fuorn (2143) - Tschierv
    [123 km, 3400 m, 879 Km]
  • 09. Tschierv - Glorenza - Merano (302) - Passo Palade (1512) - Dermulo - Trento (192) - Marter (500)
    [205 km, 1900 m, 1084 Km]

    A maggio 2009 ho tre settimane di libero per motivi di studio, e ad un certo punto avverto che quasi due se ne sono effettivamente andate a base di nient'altro che studio: complici il caldo fuori norma e l'insulsaggine del meteo, che fanno passare la voglia di progettare una qualsiasi escursione. In questi casi per me la salvezza viene sempre e soltanto dall'intraprendenza altrui: ed ecco allora che venerdí 15 mi arriva un messaggio dell'incontenibile Luisa Tomasi, fortissima alpinista trentina, già salitrice delle Ande e dell'Himalaya, la quale chiama a raccolta per una gita sul Bishorn. Dopo una ventina di minuti è già pronto il contromessaggio contenente in abbozzo il giro che sto per descrivere. Tanto poté la sollecitudine nei confronti dell'ammonimento del Profeta: «qui auget scientiam auget et dolorem»; una terza settimana di studio è cosí scongiurata.

    Il racconto fa riferimento all'album Picasa
    http://picasaweb.google.it/albertopedrotti/Bishorn.
    La prima immagine [001] mostra il percorso; i pallini rossi indicano le cinque cime salite.

    01. Sab 16: Domodossola - Zinal (130 km, 3200 m)

    Esco da casa in bici poco dopo le quattro. La sera prima, verso mezzanotte, ho depositato tutta l'attrezzatura sciistica presso il maso di Luisa, in Val del Mòcheni. Mentre faccio colazione trovo sul telefonino un messaggio della stessa, scritto sotto l'impressione della mole di roba che si è trovata, rincasando, davanti all'uscio: «pensavo che di qua fosse passata una versione primaverile di Santa Lucia...» Il treno parte da Trento prima delle sei; le coincidenze sono assolutamente sfavorevoli, ma l'arte della combinatorica merita questo e altri sacrifici. Devo cambiare a Verona [002] e a Milano [003]; sono le 14.30 quando a Domodossola mi metto in sella.

    Non sarò certo io a dover spiegare a chi ha pratica di bici cosa voglia dire salire al Sempione dalla parte dell'Italia: un grande valico, e un'antica strada che riserva piacevoli sorprese praticamente dietro ogni angolo [004-006]. Poi a un certo punto si saluta la ferrovia [007-008] e si imbocca la gola di Gondo, uno di quegli esempi prediletti dagli esteti di fine Settecento che teorizzavano la differenza tra il Bello e il Sublime [009-013]: dove - beninteso - qui di Bello non c'è neanche traccia.

    «Per le forre de l'alpe trasvolan figure ch'io vidi / certo nel sogno d'una canzon d'arme e d'amori»: Carducci, L'ostessa di Gaby. È qui a Gaby che appaiono abbaglianti le nevi dei monti fra il Pizzo d'Andolla e la Weissmies [014-015]; viene poi la radura di Simplon Dorf [016-017] e infine quell'ultimo tratto dove la natura, dopo aver proposto gole, precipizi, frane, valanghe e cascate, sembra proporre l'idillio come suprema sintesi [018-019]. Se Beethoven fosse passato di qui avrebbe faticato meno a comporre l'op. 111. Invece di qui è passato Napoleone, il quale ha commissionato la costruzione dell'Ospizio [020-022].

    Mentre largheggio in foto vengo superato dall'auto dei compagni, che poi mi aspettano in cima al valico [023]. Ci incontreremo ancora a un ristorante in Valle del Rodano - fortuitamente, come conviene che sia.

    Panorama: dai due candidi Grünhörner, attraverso la muraglia Walliser Fiescherhörner - Wannenhorn, fino al Finsteraarhorn [024]. Il Bietschhorn (3934), uno dei chiodi fissi di Leslie Stephen: da noi a causa della quota «sfigata» molti non sanno nemmeno che esiste [025]. Ecco come è invece la vita sotto i paravalanghe [026]. Il grande ponte [027] qui visto sullo sfondo del Pizzo Mottiscia, 3156 m [028].

    In fondovalle si fa ormai sera [029] e in effetti sono ormai le 21 quando varco il ponte sul Rodano ed attacco la salita della Valle d'Annivières. Già si accendono le luci di quell'unico agglomerato che si arrampica da Sierre fino a Crans-Montana [030]. Arrivo al posto convenuto, poco oltre Zinal, dopo le 23, e scivolo nella tenda che gli amici mi hanno già preparato. La sveglia è programmata per le 2.30.

    02. Dom 17: Zinal - Grengiols (81 km, 3100 m)

    Partenza a razzo. Esploriamo a ventaglio ed esaustivamente tutte le possibilità di incrozzamento sotto il roccione di Le Vichiesso; mi sento in colpa perché dovrei essere il conoscitore ma la mente a quest'ora è alquanto ottenebrata. Fortunatamente prima che vada tutto a farsi benedire arriva un flash di lucidità: la mulattiera passava in alto a destra... in breve siamo in salvo.

    Preannunciata da bizzarri barbagli di nubi luminose [031] la luna splende sopra il Rothorn di Zinal [032]. Ora, il lettore deve sapere che queste foto all'apparenza innocue, con una compagnia di Fortissimi quale quella con cui mi sono intruppato, costano cento metri di ritardo ciascuna. Stavolta il peggio tocca però ai detti Fortissimi, i quali, incuranti del classico «festina lente», si vanno nuovamente a incrozzare. Va bene cosí: comodamente seduto sul Roc della Vache, posso documentare con calma, fra l'altro, lo spettacolo del sole che scivola giú lungo le pareti NNE del Grand Cornier e soprattutto della Dent Blanche [033-037].

    A proposito: io so bene chi ha architettato tutta questa bagarre; è stata di sicuro la «monstrueuse coquette» [038], bramosa come tutte le sue pari di essere ammirata e fotografata. Ovviamente la definizione di Maupassant si applica alla montagna sullo sfondo, non già alla figura in primo piano.

    Ora si precede spediti: il percorso è in vista e neanche con tutta la buona volontà ci si potrebbe piú perdere [039-042]. Si arriva al rifugio [043-044]; ecco il Zinalrothorn [045] e l'Obergabelhorn dietro il quale spunta la Testa del Cervino [046]. Anche 20 anni fa spuntava allo stesso modo, giocando con le nebbie [047-048]. Una sosta al rifugio, lasciato aperto [049] prima della salita, piuttosto di routine, verso la cima. Quando arrivo al «piazzale» dello Skidepot, proprio sotto la pala finale [050]; il piazzale della stazione di Domossola dista ormai 20 ore, 130 km di bici, 5800 metri di salita. Pur tuttavia mi trovo in un impasse: stamane devo aver deciso che fosse arrivato il mio «semel in anno» e sono salito senza né piccozza, né ramponi, né pala, e con l'ARVA spento nello zaino. Ora c'è un passaggino ghiacciato e devo aspettare che arrivino i rinforzi per mendicare il prestito di qualche attrezzo. La montagna non manca mai di farcela pagare. Nel frattempo però colleziono foto su foto: ecco Monte Rosa [051], Mischabel [052], Weisshorn [053]; ed ecco, per raffronto, il medesimo 20 anni fa [054]. Poi si scende. Ecco il quartetto al rifugio [055] e al passaggio del ponte sulla Navisence [056], là dove si dà l'ultimo saluto al Weisshorn [057].

    Viene l'ora malinconica della separazione [058]. Avvezzo come sono a parassitare comitive a questa maniera, so bene come la mezz'oretta che segue la dipartita degli amici sia la piú difficile; si avverte un senso di vuoto sotto il cui effetto scompare la voglia di muoversi. Non c'è che da sdraiarsi sull'erba ad aspettare che passi. Poi ci si rimette in sella e tutto torna come prima.

    Scendo lentamente per la vallata, esplorandone qualche angolino inusuale [059]. Risalgo poi il Rodano fino oltre Briga, accampandomi poco sotto Grengiols [060].

    03. Lun 18: Grengiols - Axenstrasse (128 km, 2000 m)

    Continuo la risalita dell'alta valle, detta Goms, sempre piú sfacciatamente fiorita [061-064]. I depositi con i rotelloni anti-topo mi ricordano gli horreos della Galizia [065]. Di strada, c'è anche un po' di belle chiesette da visitare [066]. Sopra il pratone di Oberwald la strada si impenna verso la Furka e il Grimsel, ma le mie speranze di riuscire a valicare quanto meno quest'ultimo vengono duramente frustrate quando constato che la stessa via di Gletsch è sbarrata parecchio in basso [067] e, in effetti, già qui passo per un soffio [068]. Proseguo ugualmente, confidando che non ci sia nei dintorni nessuno pronto a incarcerarmi: la vicinanza dei larghi gomiti del Grimsel è fortemente tentatrice [069]. Arrivo a Gletsch, luogo unico nel suo fascino di luogo turistico decaduto - come decaduto è lo splendore del Ghiacciaio del Rodano che nell'Ottocento mandava la sua lingua fino in fondo al Gletscherboden, attirando visitatori a frotte [070-071].

    Decido di tentare di arrivare al Grimsel; i muri di neve sono sempre piú alti [072] e lo stesso tempo incerto crea atmosfera [073-074]. A un certo punto mi accorgo che la neve ai lati è fresca di fresatura [075]: ecco infatti apparire ben presto il congegno [076]. Piú in alto due macchine stanno lavorando in simultanea per liberare gli ultimi 50 metri prima del passo; aspetto una mezz'oretta sotto la grandine che cada l'ultimo diaframma [077]. A questo prezzo tuttavia potrò fregiarmi della gloria di essere stato il primo ciclista a mettere ruota sul Grimsel nell'anno 2009 [078]! Beninteso, di passare dall'altra parte non se ne parla nemmeno, poiché lungo il Totensee stazionano muraglie di neve ancora invincibili; ritorno quindi sui miei passi. Il sole anche se esce pochi secondi è potente; subito fa svaporare la strada e la popola di piccoli cuccioli di valanga [079]. Con il Grimsel aperto a metà e la Furka seppellita fin dai primi metri, qui in cima alla Valle del Rodano mi trovo in un vero «cul de sac»; mi salva la navetta del Furka Basistunnel [080-081], che per la relativa miseria di 12 CHF mi scodella dal solicello incerto del Vallese alla pioggia decisa del canton Uri.

    Ciononostante, a Hospental (1456) non resisto a una digressione verso il vicinissimo Passo del San Gottardo (2108), della cui vecchia strada qui vediamo l'inizio [082]. Di nuovo passo sotto la stanga e comincio ad ascendere sotto la pioggia; trovo un po' di tregua solo sotto i paravalanghe [083]. Sono davvero in terra di nessuno: perfino l'insegna di valico è sotterrata dalla neve [084]; poco oltre, a discesa appena iniziata, mi appare il diaframma di neve, probabilmente lasciato dagli Svizzeri per scoraggiare i transiti clandestini [085]...

    Scendo ad Andermatt e mi incanalo nell'impressionante Schöllenen Schlucht. Secondo me questo è un luogo unico nelle Alpi, dove ha luogo una convivenza carica di tensione tra forze primordiali della natura e opera dell'uomo. In rapprentanza delle prime, le imponenti placche del Salbitschijen [086], le cascate della giovane Reuss [087], e i depositi di valanga [088]. Dall'altra parte, la moderna strada [089], l'immancabile cremagliera [090] e la vecchia mulattiera che ha il suo Höhepunkt nell'antico Ponte del Diavolo [091], teatro a fine Settecento di uno scontro fra Russi e Francesi. Qui in mezzo al furore delle acque mi viene in mente ancora una volta quanto scriveva Hegel nel suo Viaggio nelle Alpi Bernesi: «Si assiste da presso alla furia possente delle onde contro le rocce che sporgono... in nessun luogo si ottiene un concetto cosí puro della necessità della natura come alla vista della furia perennemente reiterata e perennemente inane di un'onda che si getta contro tali rocce.»

    Per sua fortuna, la ferrovia del San Gottardo si inabissa molto piú a valle di tutto ciò [092] e ferve anche la costruzione del nuovo, ciclopico Basistunnel [093]. Raggiungo Altdorf, la città di Guglielmo Tell, un distillato di atmosfera svizzera [094]. Inizia di lí a poco l'Urner See, ossia il ramo piú recondito del Lago dei Quattro Cantoni, dominato da sagome pittoresche di montagne - la piú prominente è quella del Gitschen, 2511 metri. Qui c'è da fotografare a volontà [095-099]. Mi trovo lungo la Axenstrasse, in un tratto dove le automobili passano in tunnel e la ciclabile invece costeggia il precipizio: decido che di qui stasera non transiterà piú nessuno e stendo il sacco a pelo al riparo di uno strapiombo. Sono libero di documentare tutto il trascolorare della sera in notte [100-104].

    04. Mar 19: Axenstrasse - Zurigo (121 km, 1500 m)

    Arriva il mattino [105] sul mio sicuro posto da bivacco [106]; segue una vera infornata di foto [107-110]. Sempre seguendo la strabiliante ciclabile [111] arrivo in vista di Sisikon, aggrappato alla roccia [112]. Qui mi rendo conto che il mio giaciglio in luogo deserto era a poche centinaia di metri da alberghi stracolmi di giapponesi - i quali sembrano avere una speciale predilezione per i grandi laghi svizzeri e austriaci. Montagne aguzze tutt'intorno: oltre alle solite sul lato ovest [113], appare ad est la sagoma del Grosser Mythen, 1899 m [114].

    Passato Brunnen il lungolago si fa meno selvaggio [115] e le nebbie si riconfigurano creando scenari sempre nuovi [116-118], A un certo punto ho un'illuminazione: perbacco, dovrei trovarmi ai piedi del Rigi... Cosí è, in effetti, e a Gersau trovo una strada che sulle cartine disegnate a uso dei turisti sembra salire molto in alto sui fianchi di questo eccelso belvedere. Decido di avventurarmi; lo spettacolo offerto dalla stradina che si arrampica discreta sui fianchi del Gersauer Stock (1452) è entusiasmante [119-123]. Raggiungo lo spartiacque al valico di Gätterli (1190), dietro al quale si para il gruppo del Tödi [124]. La stradina prosegue a oltranza [125] fino ai 1300 metri di Obermatt [126], da dove non resta che puntare per la massima pendenza, attraverso i pratoni aperti, in direzione della cima. Tutt'intorno, un tappeto di fiori [127-129]. Sotto, il Lago dei Quattro Cantoni si libera dalle nebbie, dominato dalle cime del Titlis [130].

    Attesa la natura idillica del luogo, non farà dunque meraviglia la meraviglia che assalí gli ospiti dell'albergo sulla cima del Rigi allorché vi comparve il grande Tartarino, tutto serrato nella sua ferraglia alpinistica come in una corazza. «La pala e il rastrello, la piccozza e l'alpenstock, un sacco sulle spalle, un fascio di corde attorno al collo: uncini e ganci appesi alla cintura d'una giacca all'inglese a grandi pieghe»; in tal guisa si presentò sulla sommità del Rigi Kulm (1797) quel Sommo fra gli iscritti del Club Alpino Tarasconese. A onor del vero, va precisato come la mia destinazione non sia il Kulm, bensí la piú modesta Rigi Scheidegg (1656): non ci sono piú gli uomini di una volta, questo è pacifico, ma a mia giustificazione va addotto il fatto che la sola Scheidegg permette un avvicinamento ciclistico. Non ne soffre tuttavia il panorama «si fort vanté par les guides Joanne et Baedeker» (Alphonse Daudet, Tartarin sur les Alpes), qui in direzione del lago di Zug [131]. Autoritratto di vetta [132] e foto al Kulm [133].

    Viene poi il momento di staccarsi anche dagli stupendi pratoni fioriti del Rigi: «Ihr Matten, lebt wohl, / ihr sonnigen Weiden», non cominciava proprio così il Wilhelm Tell di Schiller?... Proseguo lungo il lago, qui ripreso dal punto dove esso è premuto a sinistra dal promontorio del Bürgenstock [134]; poco oltre si trova, in posizione a dir poco privilegiata, Weggis [135]. Si tratta ora di cambiare lago, passando a quello di Zug, cui devo fare il giro dalla parte di Arth-Goldau, la cui grande cattedrale era visibile già dalla Scheidegg [136]. Tutt'intorno, un camposanto dotato addirittura di servizi igienici [137]. Nel lago invece sono in atto lezioni di immersione [138-139].

    Per una strana via (la valle della Sihl) arrivo a Zurigo senza mai scorgere nemmeno un lembo di lago; solo quando, all'improvviso, mi trovo scodellato sul Limmatquai, di fronte alle cupole lievemente asimmetriche del Grossmünster [140], ho la certezza di non essere arrivato nella città sbagliata. Mi metto in traccia dei parenti, ai quali non ho dato alcun preavviso, riuscendo perfino a trovare una delle due zie che ho qui [141]. A lei affido il libro portato dall'Italia per l'altra, la quale me ne aveva commissionato l'acquisto - e proprio da questa commissione era nata l'idea del passaggio per Zurigo. Si tratta de L'incantatrice di Firenze di Salman Rushdie, titolo appena uscito e quindi, con tutta probabilità, alla sua prima traversata in bici delle Alpi.

    05. Mer 20: Zurigo - Wildhaus (93 km, 2200 m)

    Parto nella tarda mattinata [142]; la giornata è di quelle veramente elette [143-145]. A Rapperswil si pone il problema di capire verso quale punto cardinale dirigere. Mi siedo in un campo [146] e comincio a importunare gente, cominciando da Luisa, speranzoso in una combine modello Bishorn. Le idee però sembrano poco chiare, e allora comincio a importunare quello che diventerà l'altro benefattore di questo giro, ossia Gino Odorizzi, altro smaliziatissimo alpinista. Strappo qualche mezza promessa e intanto, nell'incertezza di fondo, dirigo verso SE. Salgo una collina in direzione di Wattwil; appaiono qui i Pulpiti di Churfirsten [147] e il Säntis [148]. Questo cela sull'altro suo versante il minuscolo Canton Appenzell, i cui abitanti sono considerati, dagli stessi Svizzeri, tanto «montanari» da detenere un primato in tema di barzellette - quasi a pari merito con le bionde, il che non è poco. Anche dove sono io, comunque, non si scherza dal punto di vista della «montanarietà» - ho provato a coniare una nuova parola in onore di questa boutique [149].

    A un certo punto della salita verso Wildhaus (1080) appare una montagna che mi intriga alquanto; a una fermata di autobus trovo una mappa dalla quale apprendo che essa si chiama Wildhauser Schafberg, 2378 m. La carta riposta anche una stradina che porta direttamente ai suoi piedi. Già capisco come andrà a finire stasera, avendo un buon numero di precedenti in tal senso.

    Due pedalate sul primo ripido strappo della stradina e suona il telefonino. È Gino che mi ordina di trovarmi domani sera all'Ospizio del Bernina; i miei sci nuovi sono in negozio e quelli vecchi sono da Luisa, ma a fornire l'attrezzatura ci pensa lui. A sentir parlare di Bernina, per un momento credo di dover sacrificare la mia nuova mèta, e non ne sono affatto felice. Davvero la simpatica cimetta fresca di scoperta dovrà soccombere al gigante arcinoto? Mi sembrerebbe un esito troppo banale e finisco cosí per prendere una decisione stile asino di Buridano: stasera la montagna, domani tappone alla bisogna.

    Non ho davvero motivo di pentirmi di questa risoluzione [150-151]; dopo non molto mi affaccio alla piana di Gamplüt, 1300 metri circa [152]. All'attacco del sentiero scopro di non essere solo [153]; tuttavia sono quasi le 19, e ci sono piú di 1000 metri da salire. Mi pongo a tal fine il tempo limite di un'ora, e mi incammino.

    L'inizio non è dei piú comodi [154] ma poi l'ascesa acquisisce una dirittura ammirevole [155] fino alla sella che separa la cima dal suo caratteristico avancorpo di destra. Qui appare un'altra bizzarra forma rocciosa [156]. Incontro il collega che scende. «Sind Sie der Fahrrad?» «Ja» «So, ich bin der andre Fahrrad!» «Na, zupper, zupper.» Dialogo piú che tipico con uno Svizzero. La traccia raddrizza sempre piú; appaiono verso NE dei bei recessi ombrosi [157]. Arrivo in vetta [158] con soli due minuti di ritardo: non per nulla siamo in Svizzera! Il gruppo del Säntis si dispiega nella sua forza arcigna davanti a me; sullo sfondo si intravede invece la quiete dell'immenso lago di Costanza [159] al cui confronto il lago di Zurigo sembra poco piú che una pozza [160]. Indescrivibile la quantità di cime, quasi tutte sconosciute, che mi si para davanti [161].

    Straordinarie Alpi! Quante vite bisognerebbe vivere per cominciare anche solo a scalfirne la complessità... O forse è meglio così com'è: meglio rimanere nel limbo di un'imperfetta conoscenza, e poter in compenso godere di momenti come questo, in cui mi sporgo da un ignoto belvedere ad ammirare cime altrettanto ignote. Il giorno in cui tutto ciò fosse stato sviscerato e classificato, tale emozione non sarebbe piú possibile: «qui auget scientiam, auget et dolorem» disse il Profeta...

    Devio verso un'aerea selletta [162] e poco sotto mi ricongiungo alla traccia direttissima di salita. Giú per il valloncello [163] avverto dei richiami di tromba: alla stazione a monte della funivia di Gamplüt, in effetti, si prepara un concerto [164]. Mi unisco alla platea, ancora euforico per l'operazione appena conclusa: scoprire una nuova cima e subito puntarla, è questa per me l'esperienza piú bella in montagna. Stasera voglio esagerare, e mi concedo sia una bionda che una scura - sto parlando ovviamente di birre; in fin dei conti la cosiddetta «misura» esiste solo per essere superata: se cosí non fosse, non se ne parlerebbe nemmeno. Cosí ben carburato, stendo il sacco a pelo proprio sotto l'arrivo dei bidoni.

    06. Gio 21: Wildhaus - Bernina (166 km, 3300 m)

    Risveglio con una sottile nebbiolina a cingere i Pulpiti [165]. Scendo a Buchs, in Valle del Reno, proprio sul limitare del Liechtenstein; il tratto di fondovalle è reso penoso dal vento contrario e dalla debolezza indotta dall'antistaminico cui stamattina non ho potuto rinunciare. A Coira scovo l'unico negozietto che non festeggia l'Ascensione, e con queste nuove energie trovo la forza per affrontare la salita di Lenzerheide (1549), lungo la quale il cielo si rannuvola [166], ma basta una pioggerella di sfogo per far tornare il sole già al lago di Lai [167]. Appare a sud il gruppo del Piz Platta [168]. Rapida scivolata a Tiefencastel (887) dove inizia la salita dello Julier.

    Passo per Savognin [169], paese legato alla memoria di Giovanni Segantini. Piú in alto, il lago di Marmorera [170] prima di Beiva, vale a dire Bivio (tra lo Julier e il Septimerpass), e degli ultimi tornanti, sui quali la mia principale occupazione è fotografare la foga di due pedalatori in tandem [171]: duri assai, come già i Fortissimi, da tenere circoscritti entro l'inquadratura. Al passo (2284) i velocipedi di ogni ordine e grado lasciano raffreddare i loro motori [172]; comincia la discesa verso l'Engadina [173] e dopo un falsopiano [174] appare il Bernina, scortato da Morteratsch e Scerscen [175]. A Silvaplana, invece, già tengono banco sullo sfondo le montagne della Val Bregaglia [176].

    Ultima salita di giornata: il passo del Bernina. Appare ben presto l'oggetto della giornata che verrà, ossia il Piz Palú [177] oltre, ovviamente, alla cima principale [178]. Al tornante del Montebello, la foto di rito [179] e poi su, fino al lago [180] e all'ospizio [181]. Ritrovo con i compagni Gino e Patrizio, cena e poi escursione digestiva fino al passo [182-183], dopo la quale la bici è collocata a riposo [184].

    07. Ven 22: Bernina - Albula (37 km, 2200 m)

    Salendo con la prima corsa della Diavolezza, abbiamo la nostra montagna subito davanti [185]. Buona parte del gruppo del Bernina è in vista [186]. Le mie pelli non attaccano. Per mezz'ora seguo Gino [187] sci in spalla, mentre attendo all'infallibile prassi di di scaldare le pelli nelle mutande. Nel seguito, con le assi sotto i piedi, va decisamente meglio.

    Arrivo con gli sci fino alla forcella tra il pizzo Orientale e il Centrale (3906); qui comincia un tratto di cresta [188] da fare carponi contro le raffiche di vento, onde non andare a ripetere controvoglia nonché contromano qualche via sulla parete nord. Mi si para davanti il Pizzo Zupò [189], mentre che il Pizzo Bernina continua a fare il difficile [190]. Segue il temuto incrocio con l'altro temerario che oggi sfida il vento [191]; qui invece guardo Gino e Patrizio scendere dalla Cima Orientale [192].

    Nel frattempo faccio una piccola riflessione sulla tempistica. Bishorn: partenza alle 3, deposito sci alle 10.30. Palú: su con la prima corsa delle 8, deposito sci alle 11. Direi che, in base a questi numeri, la conclusione è una e una sola: La funivia logora chi non ci va. Un dato oggettivo che - nessuno me ne voglia - ho trovato giusto sottoporre all'attenzione del Lettore.

    Discesa in ambiente maestoso [193]; nella risalita c'è bisogno di un nuovo tipo di progressione poiché una delle pelli non fa piú grazia [194]. Per scendere a valle [195] scegliamo la tranquilla pista, cosicché l'unica incognita è se si troverà aperto o meno il passaggio a livello giú in fondo [196]. È il momento di salutare anche questa compagnia [197], di salutare anche il valico [198] e inventarsi un qualche proseguimento. Gino e Patrizio rientrano veloci per l'Aprica e vanno a preparare gli zaini per un'incursione sulle Marittime. Io che invece non posso soffrire l'Aprica finisco per tornare in Engadina [199]. A La Punt [200] decido per una puntata andata e ritorno all'Albula, che io considero il piú lunare fra i valichi alpini. La solita stanga [201] seleziona di molto la popolazione che si incontra [202]. Il sole fiammeggia dietro il Piz Uertsch [203]; il valico non è lontano [204], ma vi è ancora qualche regalino per gli appassionati di fotografia prima di raggiungerlo [205-206]. Dopo una cena un po' originale [207] butto il sacco a pelo proprio davanti all'ospizio [208]. Benedette stanghe: come si potrebbe immaginare un tenore di vita simile in piena estate?

    08. Sab 23: Albula - Tschierv (123 km, 3400 m)

    Arriva l'alba [209] e arriva il sole [210]. Torno agli stagni in cerca di foto [211] e mi convinco che la cima sulla destra dell'inquadratura [212] possa essere salita calpestando pochissima neve. È stabilito: provo. La mia decisione certo non rallegra gli abitatori del luogo [213-214], i quali sembrano sbuffare: Ecco, già arriva il turismo di massa. L'idea però è giusta: il pendio di sfasciumi [215] mi porta in cresta [216]. Siamo verso i 3000, ma i fiori non mancano [217-219]. Mi ritrovo in cima [220] e individuo una bella vallata che scende verso Bergün [221]; apprenderò in seguito che essa si chiama Val Tisch, cosí come apprenderò la cima chiamarsi Igl Compass (3016). Anni addietro, in piena estate, dall'Albula salii il piú blasonato Piz Blaisun (3210), ma considerando la stagione posso dirmi ben soddisfatto! Di fronte ho la solita selva di montagne [222] e, in particolare, tutto il Bernina [223]. Il Piz Uertsch [224] sovrasta sia me che la piana del valico [225]. Sono emozionato dall'avere a disposizione tutte per me solo simili distese; penso che altri vivono per comprare metri quadri a Manhattan oppure a Dubai. Penso insistentemente agli amici che mi avrebbero invitato oggi in Cimadasta; ci sono delle giornate talmente perfette che si vorrebbe poter essere dappertutto.

    Dal mio belvedere individuo che la discesa verso Nord ha un unico impedimento, all'apparenza addomesticabile [226]: quella che qui all'Albula doveva essere una semplice puntata diventerà dunque un attraversamento! Scendo, osservando in quale curioso modo si stiano disfacendo le rocce di queste montagne [227]. Si sfanno anche i piedi: la salita odierna non è stata certo un toccasana per la vescica causatami ieri dagli scarponi «estranei» [228]. Presso le ultime lingue di neve [229], ancora fiori [230] e marmotte all'erta [231]; qualcuna di esse veramente intrepida [232].

    Ritorno all'ospizio [233] dove sono cominciati altri arrivi di clandestini [234]. Un saluto al circondario incantato del passo [235-236] e alle sue cime [237-238] prima di traghettare sulla valanga: anche dalla parte opposta cominciano ad arrivare clandestini [239]. Subito sotto c'è Crap Alv [240]; altro pezzo di discesa [241] ed ecco un bel laghetto [242]; da Preda in poi entra in scena anche la ferrovia [243], prima di raggiungere Bergün e le sue case dipinte [244-246]. Un tratto appeso sopra la gola detta Igl Crap [247] per scendere nella bassa valle, e di lí fino alle porte di Tiefencastel.

    Inizia la risalita verso Davos [248-249] e verso il Passo del Flüela (2383), con il suo lago che a volte è ghiacciato anche in pieno luglio [250]; il valico è aperto ma l'ospizio non ancora [251]. Poche pedalate più avanti succede un fatto curioso: colgo di sorpresa una marmotta che si deve rifugiare fra il terrapieno della strada e la neve. Riesco cosí a fotografarla da vicino [252], perfino con il macro [253], ma quando tento di accarezzarla mette in mostra una rispettabile dentatura. Durante la discesa [254] appare la valle che s'addentra verso il Piz Vadret [255]; ecco anche una valanga ragguardevole [256]. Oggi è il giorno delle marmotte, ma questo è un incontro del quale avrei fatto a meno [257].

    Arrivano Susch e subito dopo Zernez [258]. È ora di risalire all'Ova Spin, di lí giú a Punt la Drossa (dove parte il tunnel per Livigno) [259] prima della salita «a onde» [260] verso la spianata di Boffalora [261] e il Pass dal Fuorn [262] cui fa già da sfondo l'Ortles. Con l'ultima luce scendo all'ultimo paese, Tschierv.

    09. Dom 24: Tschierv - Marter (205 km, 1900 m)

    Discesa per la Val Monastero [263] che prende nome dall'abbazia di San Giovanni a Müstair [264-266]. Seguono Tubre [267] e Glorenza, tanto orgogliosa nel proclamarsi «città» [268-269]. E ancora: l'Ortles [270], Spondigna [271] e la ciclabile della Venosta [272]. A Lana, 316 m, [273] inizia la salita al Passo delle Palade (1512), dove rimedio un epico piatto di pasta che solo basta a inserire questo valico nella lista dei prediletti. Dopo aver incontrato Rodano, Reno, Reuss, Inn etc. arriva infine il turno del nostro Adige [274].

    Rincaso sotto un temporale alle 19, ottima ora per rientrare dalla gita del fine settimana - solo che stavolta si tratta di quello precedente. Poco male: in questo modo si è messo assieme un gradevole giro, e allo stesso tempo si è dato ascolto alla parola del Profeta.