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Da Trento alle Cinque Terre


By Dario Pedrotti d.pedrotti@tin.it, Thu, 18 Jul 2002 10:59:14 +0200
Trento, lunedì 25 marzo, ore 11.00, cielo splendidamente sereno, due biciclette in perfette condizioni, borse ancorate saldamente sul portapacchi e cartina sulla borsa al manubrio, sospinti da un provvidenziale vento da nord ci lanciamo lungo la ciclabile con davanti una meta ambiziosa: le Cinque Terre, provincia di La Spezia.

Perfettamente sostenibile, in cambio di un po' di fatica, un paio di scottature sul collo e qualche sana sudata, la vacanza in bicicletta regala una sensazione di libertà assoluta che nessun altro mezzo di trasporto sa dare, e una visuale del mondo inedita. Con un buon mezzo ed un minimo di allenamento, la velocità di crociera del cicloturista permette di cambiare spesso panorama ma anche di avere il tempo di gustarselo in pieno, cogliendo scorci e particolari che nessun automobilista o motociclista riuscirà mai ad apprezzare.

La prima tappa è Valeggio sul Mincio, ridente paesello posto sull'emissario del lago di Garda, e la tabella di marcia prevede di pedalare fino a Riva, traversare il Garda con il battello di linea, per poi proseguire di nuovo in sella fino alla meta.

La ciclabile della Valle dell'Adige è decisamente bella e rilassante, e dà la possibilità di apprezzare la piazza di Borgo Sacco e l'adiacente ansa dell'Adige, dove, ci dicono, anticamente il porto sul fiume costituiva la principale fonte di attività del paese. Superata la chiusa di Mori, rimaniamo folgorati dalla geniale ironia di una indicazione stradale, che, con la dicitura "direzione consigliata per le biciclette", indica una rampa con una pendenza non inferiore al 15%. Dopo Mori il viaggio prosegue sulla ciclabile Mori-Torbole, che pare un esempio lampante di come con i soldi pubblici si possano fare delle gran belle cose, se solo si ha il coraggio di guardare un po' più il là della punta del naso. E a proposito di nasi, al di là della punta del nostro si stende lo spettacolo del lago di Garda dall'alto, che, sfidando serenamente l'accusa di provincialismo, ci sentiamo di definire uno dei più notevoli in assoluto.

La picchiata verso Torbole e il tratto di ciclabile che costeggia il lago ci conducono all'imbarco nel porticciolo di Riva, non prima di aver fatto tappa alla bottega del commercio equo per fare scorta di barrette energetiche e crema di nocciole ed acquistare qualche omaggio per le famiglie che ci ospiteranno. Il nostro piano di viaggio prevede infatti alcuni pernottamenti in case private, cogliendo l'opportunità offerta da alcune famiglie aderenti alla campagna Bilanci di Giustizia e dai moltissimi aderenti all'associazione SERVAS. La filosofia, comune alle due esperienza, è quella di raccogliere in un elenco tutti i nominativi delle perone che sono disposte ad accogliere gratuitamente presso la propria casa per una o più notti dei viaggiatori. Economica, sobria e ottima per entrare in contatto in profondo con le persone del luogo, questa modalità di pernottare ci appariva come il completamento ideale della vacanza cicloturistica, e l'esperienza fatta ci ha dato ragione.

La traversata del Garda può vagamente far pensare ad una crociera sui fiordi Norvegesi, non fosse per le numerose serre di limoni che punteggiano la costa, ed è comunque altrettanto suggestiva, oltre che notevolmente più economica.

L'ultima fatica del giorno, è costituita da una romantica pedalata al chiaro di luna, quasi trenta chilometri lungo il Mincio e la sua provvidenziale ciclabile, fino a raggiungere Valeggio e l'agognata meta.

L'accoglienza è ottima, e nelle poche ore che riusciamo a trascorrere con i nostri ospitanti, un geologo e una veterinaria con una splendida bimba bionda, ci acculturiamo sulle condizioni degli allevamenti bovini del mantovano, la situazione politica del comune di Valeggio, l'andamento della manifestazione di Roma del 26 marzo e la ressa di geologi che per perlustrare le nostre dolomiti vengono persino dall'Australia.

Al mattino, le distese rosa delle piantagioni di peschi in fiore, non distolgono il nostro sguardo da una meta a dir poco ambiziosa: Regio Emilia, quasi 100 km più in giù. L'inizio fa ben sperare, la ciclabile del Mincio ci accompagna praticamente fino a Mantova, mostrandoci molti cigni e qualche cicogna, pagati per altro con un persistente vento contrario che rallenta un po' la marcia. L'abbondante pranzo al sacco davanti al palazzo ducale mimetizzati in mezzo a sciami di scolaresche in gita scolastica, ci convince che l'impresa è possibile e le prime ore del pomeriggio ci vedono sfrecciare lungo stradine provinciali deserte in direzione del Po', all'altezza della confluenza con il Mincio. Qui ci attende uno degli ultimi ponti di barche ancora esistenti in Italia e sterminate piantagioni di pioppi, che ci accompagnano fino a Guastalla.

Questa cittadina affacciata sul Po' ci offrirebbe un ostello a buon mercato, alcuni ristoranti attraenti e la possibilità di andare al cinema in un tranquillo dopo cena, ma l'attrattiva della pedalata sul far del tramonto e il profumo dell'ambiziosa meta ormai apparentemente a portata sono sirene tentatrici troppo forti per essere ignorate. Neppure il nome, "Crostolo", del fiumiciattolo a fianco della "ciclabile" ci fa capire che stiamo per commettere una grossa sciocchezza. La sedicente ciclabile in questione si trasforma ben presto in sterrato e successivamente in manto erboso, per poi svanire completamente nella notte ormai piena. Gli ultimi 10 chilometri sulla strada nazionale, lambiti in continuazione dai camion che condiscono abbondantemente un traffico tutt'altro che serale, sono un vero martirio, peggiorato da una pendenza pressoché costante fino all'abitato di Reggio, dove, non ancora soddisfatti, ci facciamo altri tre chilometri a gratis per aver completamente frainteso le indicazioni dei Bilancisti che ci accoglieranno per la notte.

Quando arriviamo alla meta siamo assolutamente stremati e ci abbattiamo sulla generosa e completamente biologica cena che ci viene offerta, come un'orda di cavallette. Solo il bimbo dei nostri ospiti e la sua caccia al grosso gatto di famiglia che tenta di fuggire dalle sue attenzioni, riescono a tenerci svegli per un po', ma poi alziamo bandiera bianca, ripromettendoci di andare a visitare la mattina dopo il posto che ci è stato descritto durante la cena. Così il giorno successivo ci prendiamo qualche ora di pausa e ne approfittiamo per fare un po' di manutenzione ai mezzi e per visitare l'"Infoshop Mag 6", libreria specializzata su temi di impegno sociale, dall'ecologia alla nonviolenza, dal disagio all'intercultura, dai diritti umani alla formazione.

La ripresa del cammino è come ampiamente prevedibile piuttosto faticosa, e non è certo facilitata dallo spauracchio degli Appennini che ci accingiamo ad affrontare. Qualche chilometro al di fuori di Reggio la strada inizia inesorabilmente a salire e non smetterà fino a sera. In compenso la strada diventa ben presto molto piacevole, grazie alla nuova provinciale che ha tolto tutto il traffico dalla stradina tortuosa che attraversa i paesi e che rimane così completamente a disposizione dei numerosi ciclisti che ci accompagnano nella salita. Colti da improvviso attacco di saggezza, decidiamo di non continuare un'altra volta fino a notte fonda, e ci fermiamo a Castelnuovo Monti, riparando in un bellissimo agriturismo gestito dalla Cooperativa sociale il Ginepro. Raggiungerlo ci costa una buona mezzora in salita, ma la scelta si rivela azzeccata. Il piccolo edificio in pietra, antica canonica di una chiesetta poco distante, è posto in cima ad una collina, sulle pendici della Pietra di Bismantova, un pittoresco panettone di roccia che sovrasta tutta la zona e che, narra la leggenda, è la tavole di un gigante che viveva nella zona.

Il quarto giorno completiamo l'ascesa al passo del Cerreto, e non è un'impresa da poco. Le indicazioni chilometriche delle nostre fonti bibliografiche e dei cartelli stradali continuano a contraddirsi, la strada continua a sperperare con inutili e inaspettate picchiate in discesa i metri di dislivello che guadagniamo faticosamente verso l'alto, ma alla fine raggiungiamo i 1250 m del passo, conservando anche le energie per una volata finale, terminata ufficialmente alla pari.

La interminabile discesa verso Aulla, che sentivamo di esserci guadagnata in ogni suo centimetro, è notevolmente rovinata da una temperatura non molto al di sopra dello zero e da un'aria gelida che non permette di godere come si deve il vento in faccia, ma ci vuole ben altro per fermarci. Ad Aulla decidiamo di prendere il treno fino a La Spezia, ma lui decide di non lasciarsi prendere da noi, così ci lanciamo lungo la provinciale, nel disperato tentativo di coprire in meno di un'ora i 20 km che ci separano dalla stazione di La Spezia, dove avremmo in programma di prendere il treno che dovrebbe condurci alle cinque terre. Fortunatamente arriviamo troppo tardi, e abbiamo così la possibilità di scoprire che dal punto in cui saremmo arrivati con il treno alla casa della signora che ci avrebbe ospitato per dormire, ci sono 6 chilometri e 400 metri di dislivello, per un totale di non meno di due ore di bicicletta. Il primo albergo a fianco della stazione viene così eletto a nostro alloggio ideale per trascorrere la notte.

All'alba del quinto giorno siamo pronti per l'ultimo sforzo, confortati da una temperatura finalmente primaverile e da un traffico molto ridotto, ci inerpichiamo lungo la litoranea che da La Spezia va verso le Cinque Terre. Si sale con calma godendo di un pregevole veduta dall'alto della città e dell'omonimo golfo, per poi godersi la discesa fino all'altezza del bivio per Riomaggiore, la prima delle Cinque Terre. Qui inizia il tratto più ostico dell'intero viaggio. Tra capo e collo ci piombano 6 chilometri di arrampicata libera, a non meno del 12% di pendenza, confortati unicamente dai cartelli che ci avvisano che stiamo profondendo le nostre ultime energie all'interno di una zona che è patrimonio dell'umanità protetto dall'Unesco.

A ripagarci per intero della fatica fatta, sarà la casetta di Anna, la signora di Servas che ci ospita per l'ultima nostra notte di ferie, prima di caricare le biciclette sul treno e tornarcene a casa. Ed è qui, davanti al fuoco del caminetto che riscalda la stanza mentre beviamo insieme una tazza di tisana bollente, che riconosciamo e riusciamo a dare un nome a quel gusto buono che ci ha accompagnato per tutto il viaggio. Quello che ti regala una vacanza in bicicletta, questo modo strano di girare il mondo portandosi dietro la casa in tre borse e senza mettere nulla fra te e il cielo, è il gusto della essenzialità e della semplicità. Il sapore genuino dell'autenticità, di quella sensazione impagabile di essersi guadagnati ogni centimetro, che ti permette per una volta di non dare proprio nulla per scontato.


Dario e Antonella